CARLO BARTOLI, intervento per Osservatorio Libertà di Stampa
Il tema della “libertà di stampa” si presta ad interpretazioni molto ampie ed articolate, dalla funzione del mestiere di giornaliste alle condizioni in cui si svolge. In questa sede mi preme concentrarmi su alcuni aspetti che, di fatto, ostacolano l’esercizio della professione giornalistica creando quindi un impedimento al pieno dispiegamento della libertà di stampa. Mi riferisco alle minacce e alle aggressioni subite da colleghe e colleghi da nord a sud del Paese; delle valanghe di querele intimidatorie che ogni anno si abbattono su migliaia di giornalisti, e sulla crescente precarietà del lavoro, che ne mina alla base l’autonomia.
Il 15 marzo scorso il tavolo tecnico del Coordinamento del Ministero dell’Interno sulle aggressioni ai giornalisti ha fatto il punto sullo stato delle cose. Nel 2021 sono stati registrati 232 casi tra aggressioni e minacce gravi, rispetto al 2020 il fenomeno è cresciuto del 42% mentre sono 22 i giornalisti che vivono ancora sotto scorta per il loro lavoro. Sono numeri impressionanti che segnalano una crescente ostilità da più ambienti. Le minacce e le aggressioni arrivano dalla criminalità organizzata, dalle frange radicali dell’estrema destra neofascista e del movimento No-Vax; ma anche da semplici cittadini coinvolti in fatti di cronaca. Per quanto riguarda i No-Vax siamo al paradosso, i giornalisti seguono le loro iniziative per darne notizia eppure vengono aggrediti, minacciati e insultati.
Diamo atto al Ministero dell’Interno di aver preso consapevolezza del fenomeno e di prendere sempre in seria considerazione le denunce dei colleghi. L’impegno di Polizia e Carabinieri, tuttavia, non basta ad arginare l’onda aggressiva. Crediamo sia giunto il momento di introdurre un’aggravante specifica per i reati contro i giornalisti.
Altra nota dolente sono le iniziative giudiziarie di stampo intimidatorio. La vastità e la pericolosità di tale fenomeno è ben nota ed è seguita, come le minacce, da diversi soggetti: da Articolo21, ad Ossigeno, alla stessa Fnsi e altri ancora. Ben vengano quindi altre iniziative in questa direzione. Le querele hanno un peso ancora maggiore su collaboratori e freelance che non hanno alcuna difesa dall’editore di riferimento. Stesso discorso per i piccoli e medi editori che sempre più spesso non garantiscono assistenza legale scaricando il procedimento penale o civile tutto sulle spalle del giornalista. Che significa stare molti anni sotto la spada di Damocle di una possibile condanna con tanto di risarcimenti esorbitanti. E poi una montagna di spese legali da sostenere. Qui vi è un colpevole ritardo del Parlamento. Di riforma della legge sulla Diffamazione, comprensiva dell’abolizione del carcere, si parla ormai da anni e si è pronunciata anche la Corte Costituzionale, ma diverse e interessanti proposte di legge – come quella del sen. Primo Di Nicola – sono ferme da tempo.
Infine, ma non per ultimo, il tema del lavoro che è sempre più precario e frammentato. Il giornalista che non ha un contratto stabile o che dipende dalle “commesse” dei suoi clienti è più soggetto alle pressioni di soggetti esterni, da portatori di interessi magari contrastanti con le esigenze di autonomia e indipendenza a cui fa riferimento la nostra professione. E questo è un problema grave e serio rispetto al quale va sviluppata una iniziativa ampia che punti alla introduzione di parametri qualitativi, oltre che quantitativi, nei vari interventi a sostegno per l’editoria sia a livello nazionale che regionale. Il lavoro stabile è anche garanzia di indipendenza.
In conclusione credo si possa affermare che l’informazione professionale non può dirsi libera se non riesce a svilupparsi in piena autonomia, e non può dirsi autonoma finché non saranno rimossi gli ostacoli che le impediscono di essere libera.