Giovanni Balugani
Gazzetta di Modena
Fin dall’inizio della Pandemia mi sono occupato di Covid. Da un anno a questa parte, oltre ai temi sanitari, ho raccontato anche le proteste del mondo no mask e no vax. Da quel momento mi sono arrivate minacce più o meno esplicite, insulti e offese nei confronti della mia persona e della mia professionalità.
In un’occasione in particolare un gruppo di no vax ben organizzato (il gruppo ViVi) ha commentato per oltre 10mila volte la mia pagina Facebook con insulti e un fotomontaggio del mio volto su cui era stata disegnata una svastica. E siccome non sono un volto noto, per sicurezza hanno aggiunto BALUGANI così che tutti sapessero a chi apparteneva quel volto.
Era la mia faccia ma poteva essere quella di un altro giornalista poco importa. Quello che importa è non lasciare soli i colleghi a cui accadono fatti del genere. In quei primi giorni, quando la mia faccia continuava a riapparire con la svastica in fronte, un simbolo ripugnante, mi sono sentito solo.
C’era chi bonariamente mi diceva “non è niente dai” “sono solo dei cretini”. Anche io, a forza di sentirmelo dire, mi ero convinto che, in fin dei conti, non fosse niente. Finché il cdr del giornale, che non ringrazierò mai abbastanza, si è schierato al mio fianco. E da quel momento ho ricevuto un’ondata di solidarietà che davvero può fare la differenza in quei momenti.
Devo ammettere tuttavia che in qualche modo quei fanatici avevano raggiunto il loro scopo: tentare di zittirmi.
Un esempio credo che aiuti sempre a comprendere meglio. Proprio in quei giorni mia suocera mi prese da parte evidentemente preoccupata dicendomi: “Giovanni basta, devi pensare a Chiara e Greta e alla loro sicurezza. Che ne sai di che cosa possono fare queste persone?”
Chiara e Greta sono la mia compagna e la mia bambina. Quella frase fu un colpo allo stomaco perché mi poneva di fronte a una scelta: la sicurezza della mia famiglia e il mio lavoro.
Sia chiaro: io non scrivo di mafie. Ho un enorme rispetto per i colleghi che davvero ogni giorno rischiano la propria incolumità. Però da quel giorno, ogni volta che mi è capitata una notizia in mano, anche inconsciamente la mia mente ha fatto riaffiorare quella frase. E quando un giornalista è costretto a riflettere se scrivere o meno una notizia significa che non è del tutto libero. E questo non è accettabile in un Paese che vuole definirsi libero. Io di formule magiche non ne ho. Posso solo ribadire che quando si sente la vicinanza e la solidarietà dei colleghi, quando il fronte è unito e intendo anche quello politico, è in quel momento che si fa la differenza. E’ in quel momento che come categoria iniziamo a essere un po’ più liberi. Liberi di raccontare la verità, anche se a qualcuno non piace.