Maria Elena Gottarelli
Giornalista videomaker freelance
Tengo innanzitutto a ringraziare l’Associazione Stampa Emilia-Romagna nelle persone di Matteo Naccari e di Paolo Maria Amadasi per il supporto che da subito mi hanno dimostrato. Ringrazio anche il Comune di Conselice per avermi ospitata nella Giornata Mondiale della Libertà di Stampa e per avermi permesso di portare la mia testimonianza come giovane cronista, precaria e donna. La nascita dell’Osservatorio sulla Libertà di Stampa, presieduto da Paolo Berizzi, è una bella notizia per tutti e tutte noi, in quanto rappresenta uno strumento in più per contrastare fenomeni quali le aggressioni ai giornalisti (in tutte le loro manifestazioni), la censura e l’autocensura. La mia esperienza è senz’altro meno drammatica rispetto a quella di altri colleghi e colleghe che in seguito alle violenze subite hanno dovuto far fronte a giorni di degenza in ospedale e/o a querele bavaglio, ma sarà lo spunto per un’ulteriore riflessione sulla situazione in cui versa la categoria a cui appartengo, quella dei giovani giornalisti precari.
Nel marzo 2021, in piena pandemia, ho coperto per Fanpage.it due manifestazioni di No-Mask e No-Vax a Bologna. Non mi aspettavo di subire delle aggressioni, mi recai a lavoro in maniera molto tranquilla. La prima volta mi trovavo in Piazza del Nettuno, nel capoluogo emiliano-romagnolo. Iniziai a filmare, ma non feci neanche in tempo a porre una domanda perché immediatamente tre uomini si rivolsero a me con toni sempre più aggressivi, intimandomi di non riprendere. Di fronte al mio rifiuto, minacciarono di “spaccarmi la telecamera”. Qualcosa di simile avvenne durante un’altra manifestazione, due settimane dopo, sempre a Bologna, nei pressi dei Giardini Margherita. Io e un gruppo di colleghi fummo intimiditi e insultati dai manifestanti: “Finirete come a Norimberga, pennivendoli, venduti” e tutto il repertorio che ci è tristemente noto. In quanto donna, fui anche oggetto di osservazioni sessiste poco gradevoli sul mio aspetto fisico, sia dal vivo che sui social. In questo clima, una signora che in quel momento non stavo nemmeno riprendendo iniziò ad intimarmi in maniera molto aggressiva di smettere di filmare. Di fronte al mio rifiuto, con la spiegazione che mi trovavo lì per lavorare, mise violentemente le mani sulla mia telecamera, che non mi cadde a terra solo perché in quel momento ce l’avevo legata al collo.
In seguito a questi fatti, il supporto del sindacato così come la vicinanza dei colleghi sono stati per me fattori fondamentali. Noi cronisti freelance viviamo l’esperienza della precarietà, che innegabilmente ci rende più vulnerabili di fronte agli attacchi in strada. Ma queste aggressioni non sono le uniche che ci troviamo a subire. Esiste infatti un altro tipo di aggressione che viene meno raccontata, più subdola e meno visibile. È quella che si perpetra ogni giorno nei confronti delle nostre professionalità e della professione stessa del giornalismo, tramite salari troppo bassi, la deregolamentazione contrattuale e le “finte partite IVA”. In moltissimi casi, come nel mio, la partita IVA non è una libera scelta, ma una via obbligata per lavorare. Le tariffe vengono stabilite unilateralmente dall’editore o dal giornale e spesso sono un ulteriore insulto alla professione. Si parla in media di otto euro a pezzo, in alcuni casi anche meno. Secondo i dati del 2020 forniti dall’Osservatorio dell’Agcom, il 40% dei giornalisti attualmente attivi in Italia è freelance. Di questi quasi la metà guadagna meno di 5.000 euro lordi all’anno e il 34% tra i 5.000 e i 20.000. Sono questi dei dati che devono farci riflettere. C’è un grande disagio a livello giovanile che sento la responsabilità di portare all’attenzione, non solo per me, ma per tutta la categoria di cui faccio parte. Siamo stati definiti “riders dell’informazione”, a buona ragione. Corriamo letteralmente da un servizio malpagato all’altro, senza la certezza di arrivare a fine mese e di riuscire a pagare l’affitto e le bollette. Lavoriamo senza contratto e quindi senza nessun tipo di tutela in caso di infortuni o malattia (figuriamoci le ferie). Il problema non è tanto la famosa “gavetta”, ossia fare dei sacrifici all’inizio in vista di un futuro più stabile. Purtroppo mi sono relazionata con tanti validi colleghi molto più anziani di me e con anni di esperienza all’attivo, che non sono ancora stati regolarizzati dal loro giornale. La risposta degli editori all’innegabile crisi del settore non può essere tagliare i costi sulla nostra pelle e sulle nostre vite. Ciò è vero non solo perché meritiamo rispetto in quanto esseri umani e lavoratori, ma anche per la salvaguardia della democrazia, perché in simili condizioni diventa molto più difficile – se non impossibile – svolgere in modo libero e indipendente il nostro lavoro. La vittima collaterale di questo sistema è infatti l’informazione.
Ripenso alle parole che mi dissero i miei genitori quando scelsi il giornalismo: “Pensaci bene, rischi una vita sotto la soglia di povertà”. Io sono molto testarda e ho deciso di perseverare in questo cammino. Non rimpiango questa scelta, ma non posso negare la pertinenza di quell’avvertimento. Quando si parla di libertà di stampa, quando si ricorda l’Articolo 21 della Costituzione, quando si celebrano ricorrenze come quella del 3 maggio, non si può non fare riferimento anche agli attacchi interni alla nostra professione. È necessario che vengano fatte pressioni da parte delle istituzioni, dei sindacati e degli enti locali di rappresentanza affinché i giornali e gli editori dopo un certo periodo di rapporto di collaborazione freelance continuativa assumano i loro giornalisti, oppure che paghino meglio il lavoro autonomo. Al contrario, si tende sempre più a deregolamentare il nostro settore. Credo che sia questo il più grande attacco alla libertà di stampa, una piaga ancor più diffusa e pericolosa delle aggressioni che subiamo in strada.