Sono una giornalista di lungo corso. In trent’anni di professione e anche di attività negli organi di categoria, di minacce più o meno esplicite legate alla mia attività ne ho ricevute diverse, se non altro perché mi sono occupata per oltre vent’anni di cronaca nera e giudiziaria. Minacce quasi mai prevenienti da personaggi che definiremmo malavitosi, per lo più invece da persone “normali” o addirittura da membri di istituzioni. Ma, va dato loro atto, ci hanno sempre messo la faccia.
Quello che mi è successo lo scorso inverno mi ha invece lasciato interdetta e anche un po’ inquieta. Per avere scritto un semplice post su Facebook in cui esprimevo solidarietà a un collega della Gazzetta di Modena, Giovanni Balugani, la cui testimonianza potete leggere su questa pagina, sono stata bersaglio di uno shitstorm su quel social da parte di un numero impressionante di persone o, meglio, di account di fatto anonimi forse riconducibili a un numero ristretto di individui. Nomi di fantasia e, al posto della foto, il logo di quel sedicente movimento no vax: due V rosse incrociate. Come ricevere migliaia e migliaia di lettere anonime contenenti insulti e minacce. Non una bella sensazione. In una notte tra sabato e domenica la mia pagina è stata tempestata da oltre quattromila commenti in cui, nella migliore delle ipotesi, mi definivano “nazista” e “pennivendola”, prospettando a me e a tutta la categoria dei giornalisti una brutta fine.
L’episodio mi ha fatto riflettere perché essere ingiuriati e minacciati da quella che è potenzialmente una folla anonima impaurisce ancor più che guardare in faccia il proprio aggressore. Mi ha fatto ricordare che trent’anni fa, durante un’inchiesta su di un sedicenne ammazzato a coltellate sul lungomare di Rimini, mi infilai un po’ imprudentemente (ero giovane) nel gruppo di naziskin che il giorno successivo venne arrestato per quell’omicidio. Erano persone pericolose e con idee balenghe, ma almeno ci mettevano la faccia per esporle e ci si poteva discutere (tant’è che riuscii a riportare la pelle in redazione, sia pure dopo aver passato più di un brutto quarto d’ora quasi sequestrata dal gruppo). Malgrado le minacce, il giorno successivo ne scrissi (su di un giornale che si chiamava l’Unità) e non ne ebbi alcuna conseguenza. Questo aneddoto per sottolineare quanto invece sia precipitata la libertà di stampa e il diritto/dovere dei cronisti di informare, se un’inchiesta giornalistica molto ben fatta come quella di Balugani ha il potere di attirare tanti terroristi da tastiera. Gli stessi che insultano Liliana Segre e che utilizzano l’immagine di Anna Frank per diffondere i loro deliri. Non voglio fare paragoni con gli anni di piombo, quando i giornalisti scomodi venivano gambizzati, o peggio. Certo però non si possono sottovalutare questi gambizzatori da tastiera perché, in mezzo a tanti che non hanno nemmeno il coraggio di metterci il nome e la faccia, può nascondersi un esaltato pronto a passare all’azione.
Per questo credo che Ordine e Sindacato dei giornalisti debbano vigilare e tenere i fari puntati su questi fenomeni, anche quelli apparentemente meno gravi. E’ il motivo per cui è nato questo Osservatorio a Conselice, la città che custodisce l’icona della libertà di stampa, la pedalina, e che ha maturato una sensibilità speciale su questi temi grazie alle Amministrazioni che si sono succedute e a cui va la mia gratitudine sempre.